La peccatrice

L’unico maschio cui era consentito assistere allo straordinario avvenimento che si ripeteva ogni giorno intorno alle 13.30 nello sperduto borghetto, era Franco detto “il Francone”, il quale si era meritato l’accrescitivo perché obeso e decisamente tardo, sebbene innocuo.

Dal lunedì al venerdì, infatti, sole o pioggia, vento o neve, nella piazzetta a quell’ora arrivava un’utilitaria bianca da cui scendeva una donna giovane e procace che vestiva molto succintamente. Una donna troppo avvenente e sfacciata, secondo le logore comari del borghetto, che mai avrebbero permesso che i propri mariti e figli posassero gli occhi su tutta quella carne, a loro parere esposta meglio che in macelleria.
Quando la giovane donna scendeva dall’auto, comparivano due gambe perfette e incredibilmente lunghe, seguite immediatamente da un prorompente seno, che stava troppo in su per essere giudicato autentico. Anche se, di lì a poco, gli inevitabili sobbalzi ad ogni incerto passo che quella avrebbe mosso sul ciottolato, in precario equilibrio sui vertiginosi tacchi, avrebbero testimoniato il contrario. Ma già questo spettacolo bastava a saturare il limite di tolleranza che le appassite comari potessero offrire, rendendo urgenti e necessarie azioni preventive per mantenere inalterato il decoro nella comunità.
D’altronde la situazione era ancor più inaccettabile, perché quella sfacciata portava con sé un bambino insieme al quale spariva nella casa della “straniera”, soprannome affibbiato a un’altra donna, dalla nazionalità misteriosa, che lì abitava da un annetto circa. Poi ricompariva, sola, e tornava in fretta alla macchina, sistemando ripetutamente i vaporosi capelli biondi, e infine ripartiva. Per poi tornare di nuovo in tarda serata, quando il borghetto però era avvolto nel buio e tutte case erano sprangate e in assoluto silenzio.
Ogni giorno, con largo anticipo rispetto all’ora fatidica, le comari prendevano posto dietro le ampie vetrate della casa di Amalia, l’unica costruzione che rimaneva di fronte a quella della “straniera”. Si sistemavano impettite, con le braccia conserte, dedicando dapprima grande attenzione a togliere ogni piega dai neri grembiuli che indossavano e ad accomodare bene il fazzoletto che avvolgeva le crespe e già grigie capigliature. Ciascuna occupava una postazione, rimanendo dietro il proprio vetro, sempre perfettamente pulito. E talmente trasparente che si potevano cogliere i dettagli anche a molti metri di distanza: gli sguardi severi e minacciosi, le facce solcate da decennali rughe di contrizione e astinenza, i rosari che sembravano penzolare sempre più pesantemente, gravati com’erano da accuse e invettive sempre più terrificanti nei confronti della svergognata. A vederle così, sembravano icone di un’antica e tetra chiesa, dove il solo entrarci avrebbe fatto sentire ogni comune mortale dannato per l’eternità, a prescindere da ogni possibilità di pentimento.
Lo spettacolo in sé durava pochi minuti e veniva subito soppiantato dalla discussione che Amalia, capo incontestabile della piccola comunità di comari, apriva, commentando con sempre crescente disgusto l’abbigliamento della certa peccatrice. Ma il momento chiave di quella sorta di rito, era l’immancabile lotteria di ipotesi circa la presunta attività della schifosa che ciascuna si provava a formulare, affastellando sempre più stancamente le proprie fantasiose congetture una sull’altra, come fascine che andassero ad accumularsi nella legnaia, in preparazione dell’inverno.
Solo una volta Francone s’era intromesso e non ci aveva più riprovato. Perché la più brillante ipotesi che riuscì mai a formulare fu che la donna potesse essere un’impiegata delle Poste. Dopo che sua zia, l’unica che potesse competere in stazza fisica, lo zittì con una tirata di orecchi e lo costrinse poi a stare un’ora in ginocchio sui ceci, il ragazzone rinunciò definitivamente a prendere parte a quelle diatribe.
Passavano i mesi e la luna e le stelle facevano insieme a Eolo e Giove Pluvio egregiamente il proprio dovere, succedendosi come da manuale in base alle stagioni e ai mai svelati misteri delle congiunzioni astrali. Tutto ciò che rimaneva da discutere era la vergognosa ostentazione di calze a rete, minigonne vertiginose o camicette trasparenti e indecorosamente aperte della peccatrice. Niente di più, perché il bambino una volta entrato in casa della “straniera”, non metteva il naso per strada, mai.
Un pomeriggio, insoddisfatta dello stallo che si era venuto a creare, Amalia redarguì il branco, sollecitando le comari a darsi da fare per raccogliere informazioni. Come avrebbero potuto sopportare ancora a lungo la frustrazione di non saperne di più? Ma mentre le avvizzite donnine annuivano vistosamente e prendevano a parlottare tra di loro, motivandosi reciprocamente alla ricerca di un’idea vincente per soddisfare le aspettative del capo, accadde l’imprevisto.
La peccatrice quel giorno tornò solo un paio d’ore dopo che se n’era andata. Non uscì dalla macchina con la consueta disinvoltura bensì avviandosi barcollando verso la casa della “straniera”, lasciando perfino lo sportello spalancato. I già pochi e striminziti indumenti erano quasi del tutto ridotti in stracci e aveva i capelli scompigliati, il viso costellato di tumefazioni rossastre e numerosi graffi sulle cosce e sulle braccia. Una scarpa aveva il tacco spezzato.
Il fuori programma strabiliò, sconvolse e preoccupò il gruppo che subito si disperse, rimandando all’indomani la discussione sul da farsi. Ora la cosa più importante era sbarrare porte e finestre e impedire, in qualsiasi modo, che gli uomini che a breve sarebbero rientrati, si accorgessero di quanto stesse accadendo. A Francone fu assegnato il compito di chiudere quello sportello, in modo che non attraesse l’attenzione.
Il giorno dopo, la decisione fu presa in quattro e quattr’otto. Se quell’indecente donnaccia si fosse per caso stabilita nel borghetto, sarebbe stata la fine. Gli uomini non si sarebbero lasciati scappare i succulenti spettacolini che poteva inscenare quella lì! Perciò una delegazione, guidata dall’ormai inviperita Amalia, si sarebbe presentata alla porta della “straniera” e avrebbe chiesto spiegazioni.
“Non poteva essere diversamente, con quel modo di vestire!”, “L’avevo detto io che era una sgualdrina!”, furono i più gentili commenti che le delegate profferirono sottovoce, tornando a casa di Amalia, dopo essere state accolte con gentilezza in casa della “straniera” e aver ottenuto finalmente le spiegazioni che cercavano.
Riferiti al gruppo gli sconvolgenti fatti e conseguita l’unanime condanna, solo Francone, stupido com’era, riuscì a capire che le peggiori nemiche di una donna bella e affascinante erano le donne stesse, le quali non solo non riuscivano ad accettare la disinvolta ostentazione della bellezza ma ritenevano indispensabile la giusta punizione, possibilmente guidata dall’apocalittica e vendicativa mano divina, ancorché quella del diavolo.
Le due donne erano del sud: la “straniera” si era stabilita nel borghetto solo per stare più vicina alla tenuta di una ricca famiglia, presso la quale faceva la cameriera di mattina mentre la “peccatrice”, abbandonata dal marito, era davvero impiegata alle Poste e veniva a lasciare suo figlio dalla sorella, perché svolgeva sempre i turni pomeridiani.
E quel giorno, alla fine del lungo viottolo che usciva dal borghetto, tre uomini l’avevano fermata con uno stratagemma e l’avevano stuprata.
Due mariti e un figlio delle comari, furono arrestati nei giorni successivi.
Francone, tardo com’era, sapeva che avrebbe trascorso molte ore in ginocchio sui ceci per aver chiamato il 118 e i Carabinieri. Ma non gliene importava, perché sapeva di aver fatto la cosa giusta.

71 risposte a "La peccatrice"

  1. Chi non è condizionato,non ė stato indotto a seguire consuetudini,spesso ė osteggiato e visto con sospetto. Non si ė liberi e non si accoglie chi non segue lo stesso percorso. Si teme la vera espressione di Sė.

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  2. Per saper fare la cosa giusta ė indispensabile ascoltare il cuore,non serve abilità alcuna,mentre le congetture della mente spesso rendono aridi e ci fanno deviare. Il pregiudizio rende ciechi.

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              1. Eppure l’attuale homo sapiens dovrebbe aver fatto un salto di qualità e l’intelletto insieme al cuore dovrebbe dirigere verso compassione e collaborazione,piuttosto che chiusura mentale.

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  3. Bellissimo racconto, tra Bocca di Rosa e Malena…
    Mia Nonna, classe 1902 si chiamava Amalia ma era piu’ aperta di molte donne d’oggi…per niente “comare”.
    Purtroppo sí, le peggiori nemiche delle belle donne sono le donne.Paradossalmente le piu’ crudeli le altre donne belle.

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    1. Ciao Lucia, ti ringrazio per le citazioni che considero due opere molto belle.
      Be’ sai è innegabile che al Sud le comari siano state per secoli delle vere e proprie istituzioni. Ricordo parenti che non muovevano uno spillo se non ricevevano la benedizione delle comari, dopo che queste si erano riunite nei riti pseudo-religiosi.
      Ed erano anche il fulcro del traffico dei matrimoni combinati.
      Per fortuna anche qui la realtà è via via cambiata ma esistono ancora sacche di resistenza.
      E infine temo che la competizione tra donne sia molto marcata e spesso cattiva.
      Grazie per l’apprezzamento e per la visita.
      Un abbraccio,
      Pier☼

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        1. Grazie Lucia… appena puoi, per cortesia, dai un’occhiata all’ultimo… ci tengo al tuo parere!
          Grazie infinite per la visita e per i gentili commenti.
          Un abbraccio,
          Pier☼

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    1. Non è molto dissimile da fatti di cronaca che avvengono nei paesotti, soprattutto qui al sud. Per quanto nel condominio dove abitavo, a Milano, fosse anche peggio.
      Grazie per l’apprezzamento.
      Un abbraccio.
      Pier☼

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    1. Buongiorno Viola carissima. Ti ringrazio per le tue visite e per i lusinghieri giudizi che esprimi. E grazie infinite, vengo subito a vedere. Con grande stima e amicizia, Pier☼

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    1. Avvo, mica tu sei un fesso qualunque. Con altro stile e altre finalità, la mano ti scorre altrettanto veloce, attenta ed efficace.Geniale perfino… Ma non lo ammetterei nemmeno sotto tortura.

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        1. Capitalizza (è il caso di dirlo con quella roba che ti sei infilato ‘n capa) il mio estemporaneo giudizio positivo con un’altra delle tue trapattonate… e delizia il pubblico (per il momento) non pagante.

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  4. I pettegolezzi? figurati, io abito in un paese di 3500 anime! Dai che tutto il mondo è paese….È il mestiere più antico del mondo, è nato con l’umanità. Sai Piero, ho pubblicato proprio il mio paese, se vuoi vederlo, il post si intitola: La bellezza salverà il mondo (Dostoevskij). Non andare per cortesia, così non mi va, però ad una persona gradevole come te, mi fa piacere di farti vedere dove abito. Complimenti per il tuo modo di scrivere, bacioni Giusy

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    1. Carissima Giusy, ben trovata! Ma perché non mi arrivano notifiche delle tue pubblicazioni? Ci tengo leggere i tuoi post e ammirare le tue foto, non certo per cortesia!
      Circa il mio post… grazie per il positivo commento…
      Hai ragione ovunque è la stessa storia. Direi che una qualunque comunità non potrebbe sopravvivere senza pettegolezzo.
      Anche quando ero in ufficio, a Milano, i trecento dipendenti alla macchinetta del caffè mandavano in onda “radio serva” e “radio fante”!
      Vengo subito a trovarti.
      Buona domenica con un baciamano.
      Piero ☼

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      1. Sei un esperto in informatica, cerca di rimediare perché io ci tengo. Ho molta considerazione di te e accetto anche le critiche, per cui, ciò che scrivo deve arrivarti! I pettegolezzi? E le chiacchiere noiose su quando pioverà? E sull’orto del vicino? E su quanti soldi possiedi? E quanta pensione percepisci? E dove li hai rubati i soldi per farti quella casa? E perché ti sei fatta bionda o bruna? E che raccomandazione hai avuto per trovare quel posto di lavoro? Se poi sei donna è facile…Sei una zoccola! Ah, ah, ah….Quanto materiale per scrivere ancora! Ciao, Giusy

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        1. Purtroppo a voi donne basta cambiare il colore dei capelli per essere sottoposte alla radiografia delle comari!
          Il bello sai qual è? Che adesso lo spettegolare si è esteso ai social network laddove anche i più giovani stanno a sparlare l’uno dell’altra.
          Risolverò. Assolutamente. Un abbraccio, Piero ☼

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  5. Bellissimo questo racconto, Piero!!! Anche molto realistico, purtroppo…potrebbe lasciare l’amaro in bocca, ma poi ti ricordi che tra tante comari esiste sempre un Francone che fa la cosa giusta! ❤️Grande Piero👏👏👏

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    1. Buongiorno e grazie per il gentilissimo apprezzamento. Purtroppo è una realtà che non ha tempo e resiste immarcescibile a qualunque cambiamento. Specie al Sud, dalle mie parti insomma. Grazie ancora per la visita e per il commento. Un abbraccio e buona domenica. Piero ☼

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        1. Dopo venti lunghi anni impegnato a girare il mondo facendo base a Milano, il profondo Sud mi ha accolto come la madre che rivede un figlio. E mi regala sempre dolci e profonde sensazioni che ogni giorno che passa, completano le ragioni della mia vita. Almeno di questa. Per la prossima, vedremo. Un abbraccio. Piero ☼

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  6. Ogni volta che torno in Calabria mi sento sempre più straniera, e questo è uno dei motivi, purtroppo. Sono talmente abituata a sentirmi anonima tra la folla, a vestirmi come mi pare, a compiere gesti o a pronunciare parole senza preoccuparmi dei “si dice”, che quando ci ritorno resto sconvolta da simili episodi, piuttosto frequenti ancora oggi.
    Il tuo racconto mi tocca profondamente perchè io stessa sono stata oggetto di crudeli pettegolezzi, e non ero certo una donna procace e sensuale ma una ragazzina di 12 anni, da parte delle “comari” del paese. Non potrò mai dimenticare ciò che si inventarono, solo perchè non capivano, tanto è vero che ne porto ancora i segni.
    La cosa più grave è che nulla è cambiato da allora: le comari dietro i vetri, gli sguardi maliziosi, le allusioni velate, l’astio nei confronti di chi è più bella, più brava o più ricca, ogni motivo è buono per inventarsi particolari morbosi e succulenti sulla malcapitata. (perchè, chissà perchè, quasi sempre si tratta di donne)… Ciao Piero, magnifico racconto, come sempre.

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    1. Carissima, ne sono testimone anche io, in quanto residente al sud. Permettimi di aggiungere che quella di sparlare, spettegolare e criticare è una “necessità” molto legata alla cultura italiana. Nei vari condomini milanesi in cui ho vissuto, si verificavano le stesse cose che accadevano al mio paese, senza distinzione di origini né censo e tanto meno cultura. Sono assolutamente d’accordo che il tempo non sembra essere passato e ancor oggi, ci si possa imbattere in usi, costumi e malvezzi che dovevano essere da tempo essere stati superati, grazie all’alfabetizzazione e successivamente tramite il potenziamento dei mezzi di comunicazione.
      La succulenta morbosità è sempre stata il cibo più prelibato dell’immaginario collettivo e dell’opinione pubblica, che quando può mettere alla berlina o massacrare di pettegolezzi, non esita nemmeno un attimo.
      Voi donne, infine, siete le vittime predestinate e, sfortunatamente, per mano delle stesse donne.
      Ti ringrazio per il tuo contributo che, grazie alla sua veridicità e alla sua profondità, conferisce al racconto molto realismo.
      Un abbraccio, Piero.

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      1. E’ vero, anche qui a Milano non si scherza affatto in quanto a pettegolezzi, come ogni grande città è divisa per quartieri dove ci si conosce più o meno tutti, anche solo di vista. Basta passare dal panettiere, dal fruttivendolo o al bar sotto casa per sentire, a volte nostro malgrado, fantasiosissimi e piccanti racconti conditi da cattiverie e falsità.
        C’è da dire però che qui siamo tantissimi, andiamo sempre di fretta, corriamo (come ben sai 🙂 ) e, presi da mille altre cose non ci soffermiamo più di tanto. Se una bella donna attraversa piazza Duomo vestita in modo provocante – esempio – viene confusa tra almeno altre 50 belle donne che passano da lì in quel momento, non suscita certo la sensazione e il morboso interesse di un’altrettanto bella donna vestita in modo altrettanto provocante, che passa per il corso principale di un paesino del sud.
        Almeno dalle mie parti, visto che in Puglia ci sono passata solo di striscio e non posso sapere nulla, posso dirti che ci si sofferma a lungo su certi argomenti, eccome! Si raschia il fondo in cerca dello sporco, e se sporco non ce n’è abbastanza si inventa con morboso compiacimento, mormorando sottovoce e alle spalle ci si accanisce con crudeltà, senza riflettere alle conseguenze di certe dicerie che, se in una grande città passano subito in secondo piano ingoiate da altri eventi, altre persone, altri pettegolezzi, in un paesino di 3000 abitanti (per esempio) possono segnare a vita e fare molto male.
        Buona serata Piero, è sempre un piacere approfondire alcuni argomenti con te 🙂

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        1. IL piacere è ovviamente mio… È vero che nella metropoli si metabolizza tutto più in fretta e che qui da noi, il pettegolezzo ha la stessa forza delle gocce che scavano la pietra. Lentamente rode e corrode, rovinando il più possibile la vita del(la) malcapitato(a). E a dire il vero, nei paesi del sud, anche questa è una delle pratiche più in voga, al punto che ci sono delle professioniste.
          Grazie per i tuoi spunti. È un vero privilegio confrontarsi con te.
          Ciao, Piero

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  7. Storia sempre attuale, ben congegnata nella sua semplicita’.
    Un racconto fresco e realistico che mette in evidenza la tua straordinaria capacita’ di cogliere tutte le sfumature dell’animo femminile.

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