Quelle notti così

La sottile tenda svolazzava delicatamente, carezzandole il viso. Lei se ne stava così, nuda, abbandonata sulla poltrona ai piedi della finestra. Osservava corrucciata l’andirivieni del leggero tessuto, cercando di paragonarlo alla propria vita, non riuscendo, in realtà, a ravvisarvi alcunché di altrettanto costante e armonico. Anche quella mattina dunque doveva solo aspettare che la fresca brezza e l’intenso profumo del tè facessero il proprio lavoro, cancellando le tracce della notte appena trascorsa.

Era abituata a stare da sola e non le pesava, giacché era il risultato di una precisa decisione. Ciononostante, di tanto in tanto, arrivavano notti che si annunciavano più vuote di altre. Accadeva tutto all’improvviso, senza una causa scatenante. Avvertiva dapprima un’inspiegabile irrequietezza e, poi, la sensazione che tutto intorno a lei si dilatasse. Si sentiva di colpo sospesa in un indefinibile mezzo fluttuante, dove l’ottundimento sensoriale presto era rimpiazzato dalle urla che la sua anima cacciava, ribellandosi all’esilio cui s’era sottoposta. Ricorrendo a espedienti, lei provava a resistere, a difendersi: esaminava la libreria alla ricerca di un libro che non avesse ancora letto; scorreva i CD cercandone uno carino che contenesse solo musica e non ricordi; preparava tisane che poi dimenticava e lasciava raffreddare, beneficiando al massimo del buon profumo. Ma il logorante raggiro cui si sottoponeva non poteva ancora durare per molto. I pilastri che aveva eretto a sostegno delle proprie scelte scricchiolavano sotto il peso di un’energia che montava rapidamente in lei. A quel punto, la lacerante sensazione terminava di colpo e la notte chiedeva la resa dei conti, voltando le carte: un fuoco risaliva dai lombi, fermandosi il tempo necessario a gravare nel petto, fino ad aumentare i battiti del cuore, e ad accorciarle il respiro.
Aveva bisogno di un uomo. Era andata così anche quella notte.
Aveva perciò rotto gli indugi e indossato il tubino più clamoroso, quello che lo stilista doveva aver concepito più per sbigottire che per vestire. Le altissime Louboutin, un filo di rossetto e l’insostituibile essenza di Chanel, avevano completato l’opera, rimuovendo a priori ogni ragionevole dubbio sul suo fascino e la sua avvenenza. Preparata accuratamente la maschera, si era avventurata spavalda per i vicoli della città vecchia, schivando le inquietanti creature della notte che vagavano sempre alla ricerca di qualcosa, di qualsiasi cosa avessero mai perduto ma che non avrebbero mai più ritrovato.
Infine aveva scelto un bar in cui entrare, uno di quelli che di bar aveva poco ma di bettola, tanto.
La faccia sorpresa e gli occhi allucinati del barman avevano annunciato quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Lui, infatti, le servì il primo martini con mano tremante, continuando a fissarla come se volesse dirle “sei matta a venire qui”. Lei ignorò il tacito avvertimento e si sistemò su di uno sgabello accavallando le gambe. Così, il candore della pelle quasi rischiarò la soffusa atmosfera del locale, diventando lo spettacolo preferito del gruppetto di uomini che, vocianti e sorridenti, subito la circondarono.
Mentre quelli a turno roteavano il naso per l’aria, avvicinandosi audacemente alle sue spalle e ai suoi capelli, e poi socchiudevano gli occhi, fantasticando probabilmente sulle sue nudità e prefigurando lo scempio che avrebbero voluto farne, lei li guardava ad uno ad uno, riflessi nell’ampio specchio alle spalle del barman. Giovani, meno giovani, belli, meno belli. Ma incredibilmente somiglianti, per via di quell’aria sorniona da cacciatore che sa, o che crede, di avere ormai in pugno la preda.
Che solo lei sapeva di non essere. Scartò a priori i due, tre, stupidi dongiovanni che con le loro assurde domande, più che altro, intendevano frapporre una barriera ad eventuali coinvolgimenti affettivi che non avrebbero mai saputo offrire. Concentrò di conseguenza le proprie attenzioni sugli altri, da cui emerse uno che rimaneva defilato, ostentando un’aria disinteressata. Non fu necessario appartarsi con lui, né farsi offrire un terzo martini. Fu invece sufficiente alzarsi, tendergli la mano e dirgli “vieni”.
Come ogni mattina dopo una notte così, dell’occasionale compagno non conosceva il nome e già non ne ricordava il volto, mentre andava riponendo nei cassetti dell’oblio più prosaico, le scosse elettriche di piacere che l’avevano appagata. Piuttosto non poteva far a meno di rimproverarsi di non riuscire mai a scrollarsi di dosso i dettagli meno entusiasmanti che accomunavano i suoi amanti rendendoli miseramente uguali: sguardo vuoto e privo di passione, muscoli tesi negli spasmi del possesso, respiro affannoso, la mancanza di qualsiasi dolcezza.
Ogni mattina dopo ogni notte così, si ritrovava dunque a riflettere sulla stessa cosa: era giovane, bella e sola. Tre aggettivi che messi insieme esattamente in quell’ordine, diventavano potenti moltiplicatori di una forza irridente che la sfera emotiva non risparmiava alla sua razionalità, principale imputata di averla indotta a non soggiacere a schemi sociali più confortevoli benché opprimenti. E di ricordare quell’altrettanto giovane, bello e solitario che doveva averla pensata esattamente allo stesso modo, per essere apparso, rimasto per un po’ e infine scomparso dalla sua vita. Senza drammi né spiegazioni.
Ogni mattina dopo ogni notte così, lo stato di inedia e di sconfitta in cui precipitava, si trasformavano nel viatico per un perdono che rivolgeva generosamente a se stessa, identificando in quell’uomo la principale causa di aver reso più profondo, oscuro e terrificante il baratro che aveva allontanato la sua anima da qualunque tipo di sentimento.
E dalla poesia della vita.

[Foto: cortesia di Faberex del blog “Al bordo della notte”, parzialmente modificata. Per visionare l’originale, cliccare qui: https://faberex.wordpress.com/2015/04/04/air/]


23 risposte a "Quelle notti così"

  1. Riflettevo che se pure non esistano donne che si comporterebbero precisamente come la protagonista del tuo racconto (per quanto forse potrebbero, non so), esistono certamente persone che attribuiscono ad altri o a certi eventi la propria aridità. Forse qualche volta capita a tutti noi di scollarci di dosso la responsabilità, di perdonare noi stessi e vedere in qualcos’altro la causa unica di tutto ciò che ci accade. E penso sia un tratto comune a uomini e donne. Qualcuno è più impreparato a prendere in mano la propria vita, proprio perché questo richiederebbe prendersi la responsabilità di ciò che si vuole, di ciò che si sceglie e delle emozioni che si provano, belle e meno belle. Ecco, mi sembra che tu abbia descritto molto bene una donna così. Che in fondo, avrebbe potuto essere uno di quegli uomini, magari quelli che lei aveva ‘scartato’ sdegnosamente al bar. In questo senso è una storia molto triste.

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    1. Vedi, io sono condizionato da una cultura ibrida, nel senso che avendo vissuto negli USA e avendo girato per tutto l’emisfero occidentale del pianeta, posso mettere la mano sul fuoco che laddove la libertà individuale è sacrosanta, e rispettata perfino dalle leggi, è possibile che succeda qualunque cosa. Ma, sian ben chiaro, ovunque esistono uomini la cui unica ragione di vita è la caccia. L’apposizione di crocette nella personalissima classifica!
      Il che, ovviamente, già solelva la donne da altre responsabilità.
      Il punto chiave, che tu hai argutamente colto, è proprio quello che a causa della solitudine, obbligata o scelta, arriva sempre un momento in cui l’anima ti chiede la resa dei conti.
      La morale, l’educazione, le coercizioni culturali, ovviamente impediscono a ciascuno di noi di eccedere e di lasciarsi andare.
      Ma lasciarsi andare dopo aver amato tanto, e aver altrettanto sofferto, diventa una sorta di punizione che l’inconscio infligge.
      Il rifiuto della felicità, in fondo ., è un’interpretazione “a soggetto”.
      Posso permettermi di dire che il tuo è uno dei più profondi commenti che abbia mai ricevuto ai miei scritti? E che te ne sono grato?

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  2. Trovo che tu abbia una notevole capacità nello scrivere. E mi piace anche il contenuto dei tuoi racconti. Donne innamorate , deluse.Un mondo vario da te sempre ben descritto, da signore, mai volgare.. Un abbraccio caro amico Piero. Isabella

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    1. Molte grazie Cara Isabella. Ci metto cuore. Le mie donne mi hanno insegnato molto. Soprattutto a rispettarle.
      Posso considerare il tuo commento un incoraggiamento?
      Grazie di cuore anche della visita.
      Un abbraccio a te, Carissima Isabella
      Pier☼

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  3. Esistono donne cosi’? Forse solo nelle fantasie degli uomini che agognano rapporti fugaci e senza alcun coinvolgimento sentimentale. Spero proprio che donne cosi’ non esistano, e’ troppo triste..

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    1. Buongiorno Giuliana, francamente non credo che una donna si avventurerebbe nel modo in cui l’ho descritto.
      Come ho già detto in un altro commento, il brano è più “forma” che sostanza.
      Devo anche confessare che oltre al puro esercizio, il brano risponde a fastidiosi e insistenti “insulti” (è un eufemismo) ricevuti in email (in forma anonima) o in commenti fatti su altri blog (in forma meno anonima).
      Adesso i miei detrattori dovrebbero lasciarmi scrivere ciò che più mi piace e, mi auguro, dirigere altrove le loro attenzioni.
      Se c’è una cosa che non mi manca, è il rispetto verso voi donne nonostante possa lamentare qualche “tonfo” sentimentale non proprio causato da me.
      Per il resto, posso confermarti che il coinvolgimento sentimentale, in generale fa sempre paura. E l’uomo purtroppo è il più strumentalmente fifone in tal senso. 🙂
      Ti ringrazio davvero per la visita e il commento. e ti auguro una splendida giornata. 🙂
      Pier☼
      Buona giornata

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      1. In verità esistono uomini e donne cosi’.
        Ma ogni tanto mi rifugio nel mio mondo fatato dove queste cose non esistono.
        Ahime’, saro’ un’eterna vecchia bambina.
        Un abbraccio
        GC

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      1. Io mi riferivo al modo di interpretare la foto, poi tutto è possibile e non giudicherei, da un comportamento inusuale alla morale comune, la persona. Io avrei scritto diversamente su quella foto, da un punto di “sentire” femminile. Ed è bene così 🙂 siamo due mondi meravigliosamente diversi.
        Buona giornata Piero 🙂
        PS: quel che avrei scritto io probabilmente non lo avrei postato, sarebbe stato un brano da cassetto.

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        1. Una volta tanto, gentilissima Laura, ho dovuto scrivere dal punto di vista maschile e far emergere le “meravigliose” differenze.
          Purtroppo, come ho scritto in un altro commento, sto subendo uno stalking anonimo fatto di insulti che mettono perfino in dubbio la mia eterosessualità. 🙂 Ciò a causa del fatto che i miei precedenti scritti testimoniano buone capacità di interpretare il sentire femminile. Il che deve aver suscitato gelosie in taluni soggetti psico e sociopatici che si aggirano da queste parti. Ahimè. 😀
          Al di là di questo, la foto che ho scelto dopo aver concepito il racconto, è stata “tagliata”. L’originale infatti è molto più eloquente. Se fosse stata fonte d’ispirazione sarebbe stato un racconto molto più crudo… non nelle mie corde.
          Grazie infinite per questo interessante scambio di opinioni.

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          1. Ma fregarmene, di solito chi s’interessa della sessualità o della vita sessuale delle persone, chi la deride, o peggio, arriva alla “calunnia”, ha grossi problemi con la sua identità e infinite repressioni. Scrivi come vuoi e lasciali parlare… La gente parla sempre e comunque…

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            1. Assolutamente d’accordo. Per quanto mi riguarda procedo per la mia strada. D’altra parte il blog è poco più di un hobby e ci sono tante altre persone che meritano attenzione, non solo per la loro educazione e gentilezza ma per ciò che scrivono.
              Rimettendo ordine in soffitta, tra follower e blog che seguo, sto già buttando via ciò che proprio non m’insegna nulla o, viceversa, non suscita alcuna emozione. 🙂

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  4. Sei sempre bravissimo nelle descrizioni, mai pesanti e di una lentezza che dà conforto in qualche modo, mi piace davvero molto questo tipo di scrittura e ho da imparare inquesto tipo! Il racconto è molto interessante ovviamente. E ti dirò che mi ci rispecchio molto in tutto questo profondo senso di solitudine e tristezza, il riempire i vuoti senza troppo peso per evitare il coinvolgimento anche se scelti così inconsciamente…

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    1. Ti ringrazio per la considerazione che hai di me.
      Be’, cerco di interpretare la vita e gli esseri umani che la animano.
      Diciamo che ho avuto la fortuna di conoscere e di condividere dei percorsi di vita con alcune donne che mi hanno insegnato molto.
      Prima di tutto il rispetto che dovremmo portare e poi la loro sensibilità d’animo. Del tutto differente dalla nostra.
      Quella sensibilità può essere la molla che scatena storie di una felicità assoluta e, purtroppo, anche il contrario. Ma molto dipende da quanto noi uomini sappiamo essere tali.
      I burattini e i pagliacci, credo che non servano a nessuno e a niente.
      Grazie infinite per il tuo lusinghiero apprezzamento.

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