L’oblio

I manifesti affissi ovunque avevano annunciato uno spettacolo tanto fantasmagorico che la sera della prima, la coda ai cancelli d’ingresso s’era trasformata in ressa.
I trafelati cassieri che sudavano copiosamente nell’angusto botteghino, s’erano visti costretti a staccare centinaia di biglietti farlocchi, per dare a tutti i chiassosi ritardatari la possibilità d’entrare, ottenendo così l’immediato effetto di rincuorarli d’avercela fatta e, dall’altra parte, di remunerare la fatica addizionale con l’incasso extra che avrebbero sottratto a quello ufficiale.
L’arcobaleno di abiti e parrucche colorava gli spalti e il brusio saliva sempre più intenso, via via che s’avvicinava l’ora prestabilita. Giovani e vecchi, donne, uomini e famigliole, sani di mente e non, s’erano perfino spintonati per conquistare un posto da cui godersi la migliore visuale occupandolo come fosse territorio di conquista. Al punto che l’avrebbero difeso strenuamente oppure avrebbero stabilito una tregua con lo sconosciuto vicino, sancendo il patto di non aggressione con affettate strette di mano e pacche sulle spalle.
Peraltro nelle patatine o nel pop-corn che cominciavano già a sgranocchiare indecorosamente e nelle bibite gassate che avrebbero di lì a breve rigurgitato rumorosamente, c’era già una buona parte della soddisfazione di poter partecipare ad una rappresentazione dalla critica celebrata – per fare più cassa –, come incomparabile opera d’arte.
Al punto che l’“io c’ero”, già dall’indomani si sarebbe potuto tramutare in una medaglia che avrebbe finalmente dato a parecchie esistenze fino a quel punto incolori, un qualche tipo di lustro.
Intanto, proprio come accadeva ai patrizi romani che commemoravano i defunti con i munera gladiatoria, le celebrità – giudici, soloni, personalità, parenti e amici degli amici -, occupavano rapidamente i palchi d’onore. Nell’aria surriscaldata dal vapore acqueo emesso dalle ansimanti migliaia di polmoni della plebaglia, le facce severe dei molti privilegiati rimanevano immote e, come lame affilate, fendevano l’aria con il loro disprezzo. Era facile individuarli perché, tenendo gli occhi socchiusi, più degli altri studiavano il campo di battaglia, cercando d’immaginare e di pregustare avidamente le scene più cruente cui avrebbero voluto assistere.
Nel palco centrale, invece, v’era una poltrona in raso rosso dall’alta spalliera che, grazie a fregi nobiliari, s’ergeva ancor più. Ancora vuoto, esso era il posto d’onore riservato alla reginetta della serata che stava entrando finalmente a riscuotere la propria parte di gloria. Ma l’apoteosi scatenata dall’apparizione di quella femmina fatale che già sovrastava il mondo dall’alto del suo metro e novanta – ottenuto con l’ausilio di un tacco dodici -, e che con l’incedere altezzoso e provocante lasciava tutti gli uomini a bocca aperta – e le donne a rodersi il fegato per non essere nate o diventate altrettanto belle -, fu ben presto rimpiazzata dalla fragorosa ovazione in risposta all’annuncio dello speaker: stava per andare in scena il pubblico ludibrio dell’uomo che proprio quella femmina aveva troppo amata.
Per il piacere della variopinta e truculenta società che s’era riunita nell’arena, era dunque giunta l’ora in cui quell’uomo andava definitivamente schiacciato sotto il sapiente stillicidio di atroci accuse, inflitte da boia travestiti da compiacenti lacchè. A nessuno importava che lui avesse fatto e dato tanto. Anzi la pubblica accusa avrebbe puntato tutto sulla misera fine da lui fatta perché, contravvenendo ad ogni legge di sopravvivenza, aveva avuto l’ardire di privarsi della dignità e, in nome di quella donna, di perdere tutto.
Intanto lui, l’imputato, attendeva nei sotterranei il momento in cui lo avrebbero convocato, quando avrebbe udito il proprio nome echeggiare nei bui corridoi, le cui mura tracimavano tanto di fetida umidità quanto delle irripetibili nefandezze lì consumate. Il suo allenatore gli sventagliava raffiche di motivazioni perché trovasse il modo di affrontare spavaldamente la sfida e, contro ogni previsione, vincerla. Ma lui non stava ad ascoltarlo, avendo perso ogni voglia di difendere l’onore.
D’altro canto, le forze a cui poteva ancora appellarsi erano i ricordi, laddove poteva ritrovare gran parte delle facce che ora, dagli spalti, si contorcevano nelle mostruose smorfie di chi già acclama l’orrore. A quella gente egli avrebbe potuto rinfacciare i molti generosi slanci, gli innumerevoli torti subiti e, soprattutto, l’invidia sotto cui lo avevano più volte seppellito. Ma sapeva che sarebbe stato un inutile spreco di energie: l’invidia è una gramigna inestirpabile. Perciò avrebbe lasciato che lei, la maliarda e idolatrata mannequin, l’ispiratrice dello scempio che stava per compiersi, mostrasse infine il pollice verso.
Perché dal punto di vista di un condannato a priori, con o senza processi, non vi sarebbero state difese più efficaci di quell’inesorabile e al tempo stesso rasserenante, via d’uscita: spuntare le armi dei carnefici, dimostrando di non provare dolore. Perciò, provocando l’ira incontrollabile e distruttiva della folla, lasciando di stucco l’aguzzina cui stava sottraendo il sublime piacere di vederlo soffrire, e indossando come corazza il più caustico e beffardo sorriso, egli scese nell’agone per annunciare il ritiro definitivo dalla scena.
Ancora si parla di quella serata, cui nessuno volle più ammettere di aver partecipato. Ma rimase una foto che ritraeva la reginetta con le mani nei capelli, attorniata da visi cianotici per le urla strozzate in gola, bambini che pestavano i piedi e frignavano e, infine, donne piegate in due da improvvisi crampi addominali.
La foto fu scattata nell’esatto momento in cui lui urlò a squarciagola, all’indirizzo di lei, il più altisonante e terapeutico dei “vaffanculo”. Sì, l’oblio.
[“No, non è un finale politically correct per questo blog.” (ndr)]
Quella foto fu scattata mentre lui scompariva nel tunnel, buttandosi alle spalle il passato e consegnando il ricordo di lei all’oblio.
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Gheorghe Zamfir, “Fantasy (Doina: sus pe culmea dealului)”, 1992
https://pietropontrelli.wordpress.com/wp-content/uploads/2016/01/02-fantasy-vol-red.mp3″
Per avviare l’audio, clicca su ►

77 risposte a "L’oblio"

    1. Figurati Marzia, è un piacere sentirlo dire da te!
      Peraltro questa è la musica che usarono per la pubblicità dell’ENI tanti anni fa. Molto bella.
      Zamfir ha eseguito musiche bellissime rendendole più suggestive e struggenti di quanto già non fossero.
      Grazie a te, Marzia!

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  1. Il “Vaffanculo” rappresenta comunque l’espressione di un sentimento nei confronti della donna.
    Chi lo dice, anche tra noi, prova comunque qualcosa verso l’altra persona, magari odio per un NO, o disperazione, o tristezza.
    Forse la vera vittoria sarebbe stata l’indifferenza totale.

    Ciao Piero

    K!

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    1. L’obiettivo era quello di sottrarsi al giogo del “ti tengo in pugno – non ti voglio più – ma non sarai mai più di nessun’altra”. Il vaffa rappresenta la distruzione di quel gioco perverso.
      Anche l’indifferenza sarebbe stata una strada percorribile. Ma forse così è stato ancora più liberatorio.
      Grazie infinite. 🙂
      Ciao K!
      Piero

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  2. Maestro..
    Una GRAN BELLA METAFORA ESISTENZIALE…la Tua.
    Perche’ ognuno di noi, guarda da fuori LE PROPRIE FRUSTRAZIONI?
    Perche’ ognuno di noi..vuole dimenticarle?
    Perche’ solo l’Amore, da’ la forza per migliorarsi?
    Perche’ solo..punendo le nostre PAURE, possiamo farcela?
    Perche’…perche’..perche’..
    libera interpretazione, dirai.
    L’Arte deve INSPIRARE..poi a colmare i vuoti, ci pensa CHI, passa e guarda.
    Con ammirazione,
    Barbara

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    1. Gentilissima e profonda Barbara, ci sono tanti perché a cui non sappiamo dare risposta.
      Per esempio perché avviene che due persone si amino alla follia e poi, improvvisamente, scoprano di non conoscersi nemmeno?
      Quando poi da ciò scaturiscono sofferenze, le vie d’uscita possono essere molteplici. Una è quella di stendere il velo pietoso.
      Infine sono d’accordo con te che l’arte poi può colmare e lenire le ferite. A noi resta dunque il tentativo di provarci, trasferendo le proprie emozioni a chi, come te, le vuole condividere.
      Ti ringrazio dal profondo del cuore.
      Per tutto. 🙂 Ti abbraccio.
      Piero

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    1. Carissima e Gentilissima Daniela, ho trovato il tuo commento tra gli spam. Mi spiace ma non saprei perché sia successo. Posso rimediare con un abbraccio infinito e affettuoso? Grazie per la nomination, vengo subito a vedere da te! 🙂 Piero

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  3. Ricevo e pubblico molto volentieri. Da Lillino Saponaro, mio grande e fraterno amico che mi ha onorato della lettura del post e di un commento.

    “Bello mi è piaciuto assai👍
    Sembra la scena di un gladiatore che scende nell’arena già sapendo che l’imperatore gli indicherà pollice verso insieme alla suburra cinica, spietata e adulatrice che vuole soltanto schernire chi fino a ieri sembrava essere al di sopra della melmosa plebe, invidiosa del privilegio del bearsi delle beltà inimmaginabili ed agognate da essa.
    Alla fine il gladiatore pur se sconfitto nei suoi sogni, pur se atterrato e schienato, avendo perduto le sue armi e la sua corazza, trova la dignità del grido liberatorio volendo, con ciò, ammazzare insieme a lei tutti coloro che hanno voluto per invidia, la sua fine.”

    GRAZIE LILLINO!

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  4. Non conosco i derttagli della storia reale, ma credo di averne intravisto alcuni contorni anche leggendo i commenti. Eh, eh, eh: il finale con l’urlo è una cosa sicuramente in sintonia con le mie corde. Nello sviluppo del racconto invece intuisco il percorso, strettamente tuo e personale, che ti ha portato a liberarti. Non so se l’urlo sia avvenuto realmente, ma mi auguro ti abbia portato la meritata serenità.

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    1. L’urlo ci fu. Intimo ma ugualmente fragoroso, efficace e catartico.
      Da quel momento in poi, la vita diventò improvvisamente diversa e, tra l’altro, molto più bella di prima. 🙂

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  5. Dunque. Partendo dal fatto che in un racconto io vedo solo un racconto (a prescindere dal fatto che sia autobiografico o meno, perché comunque quando è narrato diventa un “racconto”), trovo al solito il tuo stile che apprezzo ed in questo caso un interessante modo di giocare con la realtà capovolta… Sempre un piacere leggerti 🙂

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    1. A volte abbiamo bisogno anche di rifocalizzare cose accadute in passato.
      Farlo in forma allegorica e perfino paradossale assume un valore ancora più catartico, definitivo, risolutivo.
      Fino a rendersi conto di quanto fosse assurdo starci dentro!
      Ti ringrazio per la visita e il sempre gentile apprezzamento.
      PS le tue immagini sono tutte incredibilmente belle. Lasciano senza fiato e perfino senza parole. 🙂

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  6. Oblìo è la cancellazione definitiva di un ricordo e per te una liberazione, uno scritto amaro, niente a che vedere con la luminosità dei precedenti. La musica poi è azzeccatissima… come sempre! Spero si aprino per te orizzonti meravigliosi, con questo scritto il passato, è davvero passato. Ti abbraccio forte, forte. Giusy

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    1. Grazie Giusy Cara, in realtà è lo spunto suscitato da una discussione sul passato. Io lo archiviai così, nel modo che ho allegoricamente descritto.
      Sì, certo. All’epoca fu una grande liberazione.
      Un abbraccio fortissimo.
      Piero

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  7. Amore…cosa non si farebbe per lui, ma soffocare la propria dignità non si può.
    E’ bello amare, ma anche ricevere però, e la fine di un amore, per qualsiasi motivo, non si porta in un’arena di gladiatori, non si porta su di una passerella.
    Bellissima lettura anche se triste per me, direi quasi fellininana.
    Complimenti Piero, maestro della parola non banale affiancata ad un commento musicale raffinatissimo.

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    1. Grazie per i complimenti e per aver colto il senso allegorico del racconto. Ovviamente voluto.
      In generale, quando c’è qualcosa che funziona e va benissimo, c’è sempre qualcuno che vuole il contrario.
      Se il qualcuno poi riesce a convincerne i protagonisti, è finita.
      Altro che combattimenti.
      Grazie ancora per i tuoi apprezzamenti!

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  8. Il racconto sarà anche non politically correct per il tuo blog sempre fine e di spessore, ma a me é piaciuto moltissimo. Non immaginavo che fosse autobiografico, immagino, allora, che sia stato liberatorio scriverlo, tanto quanto l’urlo inaspettato dell’imputato. Bravo, come sempre, Piero! Un abbraccio forte per tutto (passato e presente), anche se non so niente, per la bella persona che sei…😘

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    1. È stato liberatorio l’urlo, all’epoca. Ho avuto voglia di raccontarlo per proseguire idealmente una discussione sul passato che ci perseguita.
      A che serve continuare a essere gladiatori, sapendo che le belve sono sempre più feroci e affamate? Meglio voltare pagina. Usare i cassetti più polverosi per depositare il “vissuto” e chissà, un giorno, farci sopra una bella risata.
      Ti ringrazio per i complimenti che giudico molto lusinghieri.
      Non sarò mai la bella persona che sei tu.
      🙂 Baci e abbracci.

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      1. Il tuo é troppo lusinghiero, invece! Grazie, comunque…😘
        Ti capisco, Piero, non é semplice, ma penso che fino a quando esiste un motivo per cui lottare bisogna farlo, belve feroci o no, magari finiremo a brandelli, ma ci guarderemo indietro senza rimpianti. Se poi questo motivo non c’è o non é abbastanza valido o non lo é più, hai ragione tu, meglio voltate pagina e seppellire tutto con una grossa, grassa risata! Il tempo che passa in questo aiuta…☺️

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        1. Sono d’accordo con te. Proprio grazie al tempo ho però imparato che insistere con chi non ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare, serve solo a “rodersi” l’anima.
          È quello il momento in cui l’amor proprio prevale.
          Peraltro la filosofia vincente è che ne sia valsa comunque la pena perché se giungi a dirti che hai sbagliato tutto, stai anche spietatamente giudicando te stesso.
          A quel punto, viva la risata!

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  9. Ah Piero Piero….che dirti ho messo un Like a un commento sopra perché Lei ha un linguaggio migliore del mio e a volte a me mancano le parole giuste. Si liberarsi, salvaguardarsi, urlare. Ti abbraccio per quella situazione penosa antica,di cui poco so ma ho intuito tempo fa in un tuo commento da me( a proposito mi mancano le tue orme) e ti abbraccio il doppio per la situazione attuale di cui abbiamo parlato in privato.insomma ti tengo stretto con tutte e due le braccia

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    1. Ele carissima. Il racconto è scaturito da uno scambio di battute sul passato di cui mi sono faticosamente liberato, azzerando tutto. L’ho reso surreale per rendere l’idea di quanta gente abbia tifato contro di me, all’epoca. Oggi tutto ciò mi fa un po’ sorridere ma sostengo che ne sia valsa la pena.
      Verrò a trovarti, promesso.
      Per quanto riguarda la situazione che sai, purtroppo è sempre più difficoltosa. Meno male che ci sono amiche come te e persone cui voglio bene e che mi ricambiano. Altrimenti sai che fatica! 🙂 Il tuo abbraccio è “cardiotonico” e perciò lo ricambio con altrettanto affetto!

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    1. Verissimo, Silvia! Mai anche se eventi e circostanze indurrebbero a rifare gli stessi errori, bisogna salvaguardarsi. 🙂 Grazie per la visita e il commento! 🙂

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  10. Ho letto del momento difficile e mi dispiace, ho letto questo e un racconto precedente di dicembre (sotto la pelle). Quello era molto dolce, questo lo sento veramente amarissimo però è sempre bello. Spero che la scrittura, se non altro, sia per te un balsamo e ti auguro tanta forza e comunque momenti sereni per i prossimi mesi. Un abbraccio. Alexandra

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    1. Ciao Ale, per la verità il racconto è autobiografico, sì, ma si riferisce ad una situazione di molto tempo fa.
      Ho inteso raccontare come mi sono difeso e come ne sono uscito, a valle di un confronto di opinioni su un altro blog.
      Al momento le problematiche sono di tutt’altra natura e non più legate a questioni di cuore.
      Tuttavia la tua solidarietà, ed il tuo affetto, sono davvero cardiotonici. 🙂
      Perciò ti ringrazio e ricambio, aggiungendo affettuosi auguri.
      Un abbraccio a te.
      Piero

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  11. E lasciamo all’oblio reginette di dubbia regalità… preferendo milioni di volte uomini che per esse hanno speso amore. Perché lí alberga la dignità nell’Amore dato, sinceramente, anche a chi non se lo sarebbe meritato.
    Bacio Piero.

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    1. Cara Lucia, sai che il racconto me lo hai ispirato ancora una volta tu, in uno scambio di battute a proposito del passato, sul tuo blog?
      Così io la penso. Vi sono dei momenti in cui bisogna liberarsi, definitivamente.
      Ti abbraccio e bacio. 🙂

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